Cantare, fischiare, assaggiare, sussurrare, degustare, baciare, parlare, esprimersi, soffiare: sono tutti movimenti che facciamo senza nemmeno pensare; li impariamo nei primi anni di vita e poi diventano meccanismi consolidati. Tutti i movimenti che ogni giorno compiamo con la nostra lingua sono frutto di meccanismi a noi sconosciuti. Le papille gustative, a cui normalmente noi non pensiamo, a cui non badiamo, sentono e tracciano per noi ricordi indelebili con quello che si chiama gusto fin dai nostri primi vagiti.
E se un giorno ti dicessero che potresti perdere tutto?
La verità è che un giorno, un medico, che solo dopo ho saputo far parte dell’associazione ACAPO, mi ha comunicato che avevo un tumore alla lingua. L’informazione a tale proposito è così scarna sull’argomento, e non per colpa dei medici, che non si sa cosa leggere, non si sa cosa domandare: la vertà è che non si sa per se stessi finché questa esperienza non ti attraversa la vita come all’improvviso un camoscio che con un sol balzo ti attraversa la strada.
Era il dicembre 2019 quando ho notato allo specchio alla base della lingua una lunga striscia bianca. Io ancora non lo sapevo ma questa mia storia sarebbe iniziata proprio li, in quel momento. Il primo giorno di lock down totale del 2020 mi sono ritrovata presso l’ospedale San Paolo nella struttura di Patologia orale di via Beldiletto per una biopsia mentre il mondo veniva infettato da un virus. In fondo la prima diagnosi non era nemmeno stata così tragica: nessun tumore (per fortuna). Una leucoplachia che nella maggior parte dei casi rimane tale. Avrei potuto continuare a vivere la mia vita in quel terribile lock down, non avevo però tenuto conto del fatto che le mie cellule non erano d’accordo con me e tutte insieme, unite e compatte, avrebbero deciso di impazzire e di trasformarsi in un carcinoma.
Dopo un anno e una seconda biopsia la mia diagnosi si era trasformata da leucoplachia a carcinoma.
“Lei ha un carcinoma alla lingua” mi stava comunicando il medico: eravamo solo lui ed io nella stanza. Lui con tutta la sua professionalità e io con tutta la mia ignoranza in materia; lui con tutta la sua sensibilità e io con tutta l’attenzione che potevo dal momento che ero sola per via del secondo lock down; lui invitandomi a fare domande e io… e io che cercavo di carpire le parole nella mia fredda attenzione di quei momenti unici. Potrei descrivere attimo per attimo di quella giornata: presente a me stessa con ogni parte del mio corpo, eppure così incredibilmente fragile: il mio corpo mi aveva tradito nella parola, proprio in quella parte a cui mai nessuno pensa.
Dopo due mesi di controlli l’operazione.
Il 20 maggio del 2021 alle ore 14:30 scendevo verso le sale operatorie.
La paura più grande, l’unica che avevo veramente compreso, era che l’assenza di una tracheotomia avrebbe significato un’operazione più leggera, al contrario la presenza una più pesante. Al risveglio non c’era traccia del tubicino in gola, ma “solo” uno per il naso per la nutrizione, denominato dai più intimi “il lombricone”.
La lingua immobile, una specie di palla in bocca, la faccia gonfia: insomma come si direbbe non proprio una figona. Il primo mese solo cibo semi liquido e tiepido. Poche parole, per fortuna dei familiari, nessuno sforzo: l’essere talebani nei confronti di quanto ti consiglia un medico e quindi verso se stessi mi ha permesso di guarire velocemente. Ma cosa era successo veramente dentro di me fisicamente? E psicologicamente?
Fisicamente mi ero resa conto per la prima volta quanto fossero importanti le papille gustative, quanto si possa dare per scontato un organo come la lingua; mi sono o mi ero resa conto di quanto si faccia presto a dire fischia, ma se ti manca anche solo un piccolo pezzo di lingua, non lo puoi più fare (ti devi esercitare). Se ti manca un piccolo pezzo di lingua le parole per un periodo di tempo (limitato per fortuna nel mio caso) non escono più come prima, ma il suono che si forma nell’aria diventa improvvisamente irriconoscibile così come irriconoscibili sono i tuoi pensieri. “Il fascino di una francese ubriaca” qualcuno mi aveva detto: poteva andare peggio, pensavo io.
C’è voluto impegno per parlare come prima, per pronunciare le parole nel modo corretto e coraggio per affrontare un evento che non avrei mai pensato di affrontare, perché si sa i racconti sono sempre degli altri mai i nostri. Oggi a distanza di un anno devo ringraziare alcune persone, professionisti senza i quali probabilmente sarebbe andata diversamente: il mio medico dentista Marco Verde, il prof. Lorenzo Lodi dell’associazione ACAPO, il dr. Niccolò Lombardi, il prof. Biglioni e non per ultima la dottoressa Vera Mariani che fa parte del team di supporto, psicologa specializzata in questi traumi.
Sono stata fortunata: a distanza di un anno posso parlare, mangiare, urlare, baciare, esprimermi sussurrare e persino “stonatamente” cantare o fischiare, lo confesso talvolta anche imprecare, ma non è elegante.
Mi domando ancora oggi se fossi stata in un’altra città, se avessi visto altri medici, se non avessero diagnosticato in tempo la malattia: cosa sarebbe successo? La verità è che se sono qui, a leggere a voce alta come una bimba che ripete le poesie, lo devo a tutti a loro.